lunedì 11 aprile 2011

La Clinica. Ottava puntata

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Nella sala d’attesa dell’ambulatorio c’era sempre qualcuno più vecchio. Ma sapeva che prima o poi sarebbe accaduto. E accadde quel giorno: la pole position era finalmente sua, e non gli piaceva. L’idea che il vigile urbano sprofondato nella sedia vicino alla finestra dimostrasse dieci anni più di lui pur sapendo che ne aveva tre in meno, piuttosto che consolarlo si impose con la forza di una prova d’accusa schiacciante. Nel tentativo di distrarsi andò a fare un giro nel corridoio, dove lo aspettavano quelle marine affisse alle pareti che lui e tanti altri avevano già visto mille volte ma sulle quali non aveva mai riflettuto. “Nelle sale d’attesa dovrebbero esserci dei quadri colorati, magari copie di Bruegel, stampe di Musante, roba meno grigia su cui passare un po’ di tempo a ragionare. Su ‘sta roba qua nessuno può aver speso dei soldi. Forse erano allegate a qualche rivista medica che un’infermiera s’è ritrovata tra le mani in un nebbioso pomeriggio di novembre o forse l’omaggio interessato di qualche rappresentante farmaceutico, perché tanto nessuno fa niente per niente”. Questi e altri pensieri tristi gli vennero in mente assieme alla sensazione che fosse un peccato suscitarli in un luogo già così denso di tristezza. Tra le schiume delle onde scure e rabbiose che aveva davanti agli occhi stava persino prendendo forma uno sguardo cinereo e maligno, ma finalmente venne il suo turno.
Si sentì sollevato da tante amare constatazioni e con una battuta lo fece presente a Roberto, il suo coetaneo che cercava di curargli corpo e spirito.
- Caro Roby, finalmente ho conquistato la pole position. –
- Stai tranquillo – rispose l’altro pacioso, senza alzare lo sguardo dalle carte che stava ancora compilando – non è ancora il nostro momento. Il Gran Premio deve ancora cominciare.
- Sarà come dici te, ma io mi sto scoraggiando. Tutti questi acciacchi cronici mi hanno mandato in depressione. Dici bene, te, che devo imparare a conviverci, ma mi sembra di convivere con la morte, un ossimoro che farebbe anche ridere se non fosse tragico. Psoriasi, artrite reumatoide… e adess anca l’ucel…
- Senti Fabio – lo interruppe il medico alzando la testa dal ricettario per farsi improvvisamente serio – hai ragione. Non è più il caso di scherzare. Lo vedo, che da un po’ di tempo non sei più tu. Prima venivi una volta l’anno, adesso sei sempre qua e non perché sei innamorato di me, credo. Eri sempre allegro, scherzavi sui tuoi malanni, reagivi sempre e davi forza anche a me che ogni tanto mi lascio coinvolgere da tutte le disgrazie e le sofferenze che mi passano davanti. Ha cominciato a pesare anche a me, la vita, cosa credi? – poi d’un tratto abbassò la voce, si alzò leggermente dalla sedia e si spinse verso di lui sussurrando - ma tu sei ateo, vero?
Fabio rimase sorpreso dalla domanda, ma confermò:
- Certo, lo sai benissimo. Agnostico, per la precisione. Ma questo cosa c’entra?
- C’entra, c’entra. Però non me la sento, e non posso, parlarti qua dove gira tanta gente. Non è un posto sicuro per la proposta che voglio farti. Quand’è che puoi venire a casa mia, tu da solo, senza tua moglie?
- Mamma mia, e cosa mi devi dire di così segreto?
- Non posso dirtelo, anzi, ti ho già detto troppo. Dimmi solo se vuoi provare a guarire davvero dai tuoi acciacchi.
- Oddio, il mistero mi affascina – provò a scherzare ma gli venne male - se poi ha questa prospettiva salvifica come faccio a dir di no? Va bene, non voglio sapere di più: stasera Anna va a cena con le amiche, ti va bene?
- Benissimo. Allora ti invito a cena, per le otto. Poi ti dirò tutto.
Fabio trascorse il pomeriggio continuando a chiedersi se Roberto avesse uno scherzo da fargli o se quell’espressione così insolitamente seria fosse davvero motivata da una proposta altrettanto seria. E cosa c’entravano le sue convinzioni religiose? Magia? Su tutto prevaleva comunque la speranza di risolvere quei problemi che lo stavano deprimendo ogni giorno di più.
Si presentò a casa dell’amico dieci minuti prima delle otto, tenendo in mano un ottimistico Moet & Chandon.
- Bravo – lo accolse Roberto sorridendo – vedo che hai capito già tutto. Entra che lasciamo fuori solo lo champagne.
Gli anni dell’università passati lontani da casa avevano fatto di Roberto, oltre che un bravo medico, anche un ottimo cuoco. Cucina bolognese, forse più indicata per il pranzo che per la cena ma il padrone di casa non eccedette con le quantità. Voleva che il suo ospite fosse lucido, disponibile ad ascoltarlo ma pur sempre padrone del proprio libero arbitrio.
Tra una chiacchiera e l’altra arrivarono al dunque. Fabio incrociò di nuovo lo sguardo serioso con cui Roberto l’aveva sorpreso poche ore prima, poi lo sentì dire:
- Lo champagne aspettiamo ad aprirlo. Vediamo se ce ne sarà davvero motivo.
- Ok – Fabio incrociò i gomiti sul tavolo e si mise all’ascolto ricambiando l’incrocio di pupille.

- Allora. Ascoltami bene. La prima cosa da fare è un’incombenza obbligatoria: devi giurarmi su tutto ciò che hai di più caro che non dirai a nessuno quello che sto per dirti, sia che tu debba accettare sia che tu debba declinare la proposta che ti farò. Scusami ma devo farlo per mille motivi, uno dei quali il fatto che se tu raccontassi in giro quello che sto per dirti, come minimo non potrei più lavorare. –
- Ok – rispose Fabio senza esitare, preso dalla solennità dell’invito e dall’ansia di conoscenza - Giuro su mio figlio che non dirò nulla a nessuno di quello che mi dirai stasera –
Roberto si sistemò sulla sedia, prese fiato e disse:
- Bene. Allora ricapitoliamo. Oggi mi hai detto, come del resto sapevo già, che non credi né in Dio né in nessun’altra forma di trascendenza. Finora la cosa riguardava soltanto te. Adesso invece conta. Conta perché posso farti una proposta, che non potrei certo fare a quelli che credono nel paradiso e nell’inferno o nei Campi Elisi e nell’Ade, nel Walhalla o in Manitu. La proposta, viste le tue condizioni fisiche e psicologiche, è semplice e assoluta: andare in una clinica dove ti passerà tutto. Come un miracolo. E non ti spaventare, non è che tu sia uno che ha bisogno di un miracolo per guarire. Anzi, i malati gravi non vanno bene, non sono adatti. I test che sono stati fatti finora dimostrano che quelli come te sono i candidati ideali alla soddisfazione di entrambi. Età media, fisico ancora integro ma cedente, sensazione di invecchiamento ma ancora non rassegnato alla vecchiaia e al decadimento. Tu vedi l’abisso oltre il valico, si potrebbe dire. Siamo fatti così: abbiamo nostalgia della gioventù, consultiamo i vecchi album di fotografie in bianco e nero. Per illuderci di rivivere in loro li condividiamo nei social network dove magari ritroviamo qualche vecchia fiamma che siccome adesso è più disperata di noi magari è molto più disponibile di una volta…
- Va bene va bene! – l’interruppe Fabio anche per l’imbarazzante vestito che gli stava cucendo addosso l’amico – ho capito. Ma hai detto “entrambi”. Entrambi chi? –
- Tu e la scienza. – enfatizzò Roberto allargando le braccia per poi riprendere - Sapranno farti guarire da tutti i mali con una terapia indolore che ti rimetterà al mondo e ti darà una salute di ferro, fermando ogni forma di invecchiamento e fissando una condizione di salute permanente. E’ una cosa meravigliosa. Devi solo firmare una liberatoria e acconsentire a un prelievo.
- Un prelievo? E basta? Liberatoria? E da cosa? – Fabio era confuso. Non aveva mai sentito parlare di una cosa simile.
- Certo, solo un prelievo. E’ semplice, visto che sei agnostico non avrai problemi a sottoporti a un intervento assolutamente indolore: non ti nascondo nulla e del resto leggerai tutto nella liberatoria. La clinica dove effettuano questo intervento si chiama Clinica San Faustino. E’ una clinica sensistica, dove da molti anni si stanno facendo esperimenti sul rapporto corpo-spirito. Insomma, sull’anima. E inevitabilmente la medicina si confonde con la filosofia e con la fisica, tant’è che l’intervento su di te, sempre se acconsentirai, ti verrà fatto da una loro équipe ma in un altro luogo: il CERN di Ginevra. –
A Fabio venne una risata:
- Al CERN? E cos’è? Mi sparate nel reattore? Esperimenti sull’anima? Ma per farci esperimenti bisogna averla in mano! -
- Esatto. Hai centrato la cosa. Loro pensano di averla in mano. Di avere scoperto l’anima. Lo spirito insomma, la parte invisibile e forse immortale del corpo. E ritengono che esista anche il modo di prelevarla dal corpo. Certo, parliamo di esperimenti per diversi motivi. Primo perché la cosa non è ancora dimostrabile scientificamente, secondo perché ci sono enormi problemi deontologici da superare ed è per questo che sono assolutamente segreti. E pensa solo agli enormi interessi economici in gioco: l’acceleratore di particelle Tevatron, su cui gli americani avevano investito trecento milioni di dollari è stato chiuso per mancanza di fondi. Terzo perché, una volta prelevata, l’anima non si può più restituire. Anzi, molti esperimenti falliscono con l’anima che si dissolve, o se ne va chissà dove, una cosa tremenda, per chi ci crede. E comunque non tutte le anime sono adatte. Te l’ho detto: ai malati terminali non si riesce ad estrarla. Più il corpo è malato più gli si attacca, si avvinghia al suo spirito diventando una cosa sola. Si pensa che riguardi l’amor proprio: l’egoismo in fondo rende l’idea. Ma più di una volta è stata intrappolata, e le persone a cui è stato fatto il prelievo non provano nessuna alterazione psicofisica. Questo in parte è rassicurante ma in parte, naturalmente, potrebbe sostenere le ragioni dei detrattori dell’esperimento.-
- Ma come fanno a dire che in queste provette c’è intrappolata l’anima?
- Vedi, non tutte sono rimaste nelle provette. Una è stata trapiantata in una cavia. Ma non posso dirti di più. E non sanno ancora neppure perché dopo questo prelievo gli uomini diventino praticamente immuni da ogni malattia.
- Senti – respirò Fabio riprendendo il controllo – per quanto sia affascinante il tuo racconto, anche se non credo che tu mi stia prendendo in giro o che ci sia un telecamera nascosta, mi domando innanzitutto come mai questa scoperta non ha ancora fatto il giro del mondo.
- Intanto, come ti ho detto, è una fase sperimentale e indimostrabile. E siamo ancora pochissimi, sia gli incaricati come me sia i candidati che sono stati individuati. Io sono stato coinvolto da mio fratello che ci lavora, naturalmente dopo una trafila di giuramenti, per non dire ricatti. E non è un privilegio, anche se il coinvolgimento umano e professionale è fortissimo perché senti di vivere un momento fondamentale della storia, ma io e lui a questo punto siamo incastrati in questa storia e come puoi capire corriamo tutti dei rischi enormi. – Roberto aveva il fiato corto e dovette fare una pausa, tanto Fabio non aveva parole con cui interromperlo, poi riprese: - la scoperta è avvenuta, come tante scoperte scientifiche, per caso, mentre si cercava tutt’altro. Ma adesso chi l’ha fatta non vuole assolutamente perdere questa occasione. Forse anche tutto il potere che ne potrà derivare. Hai presente il Bosone di Higgs, la Particella di Dio? Ci sono miliardi di euro in gioco e non è concesso svicolare dall’obiettivo. Eppure qualcuno di loro non ha resistito alla tentazione di pensare che provare l’esistenza di un Dio Creatore significhi anche, parallelamente, provare l’esistenza di un’anima individuale e immortale. E per far questo hanno avuto bisogno di esseri viventi. Prima cavie, poi necessariamente umani.

- Cavie? – Fabio lo seguiva con attenzione, e a questo punto non potè fare a meno di obiettare – ma come fai a cercare l’anima nelle cavie? Non è soltanto l’uomo a possedere anima? Oh, ribadisco che per me son tutte cazzate, sia chiaro.
La sottolineatura abbassò la tensione e Roberto sorrise.
- Lo so lo so, non preoccuparti, continuo a sapere come la pensi. E teoricamente hai ragione, ma si tratta sempre di teorie. Astrazioni. Questioni teologiche. Ipotesi non suffragate da alcuna prova scientifica. La scienza è prima di tutto empirismo. Magari adesso anche meccanica quantistica, ma alla fine il principio è sempre quello: “provare e riprovare”. Insomma, mai dare niente per scontato o precostituito. E comunque, in effetti le cavie non hanno dato riscontri. Ma anziché desistere hanno rilanciato la posta, e hanno giocato il tutto per tutto puntando sugli esseri umani, stessi esperimenti con risultati diversi, da mostrare in contrapposizione. Hanno trovato dei volontari, qualcuno dice neanche tanto volontari ma cavie anche quelle.
- In che senso?
- Come ti ho detto, erano malati terminali. Disposti a tutto. E infatti le cose andarono in modo diverso, rispetto agli animali. Ma videro anche che non erano adatti. Come ti ho detto…spiegata banalmente…la malattia, la depressione forte, il degrado fisico e psichico provocano anche il degrado dell’elemento spirituale che ne segue il destino. Per questo in un primo tempo pensavano di aver individuato un elemento organico, per quanto nuovo. Poi, finalmente, con un soggetto sostanzialmente sano e motivato alla vita (io dico probabilmente anche ben pagato) c’è stata la scissione.
- Eeeh…addirittura. Atomica? Trovò la forza di scherzare Fabio
- Beh una specie, non credere. Non una bomba vera ma la madre di tutte le scoperte. Ti rendi conto? Anzi, lo so che non ti rendi conto, tu non ci credi. Per questo sei il candidato giusto, perfetto.
Fabio per un momento sentì vacillare le sue certezze e chiese a Roberto ma in fondo anche a se stesso:
- Potrebbe anche darsi, magari non è l’anima, lo spirito, ma solo quella parte del corpo che sta all’origine delle speculazioni, dei sentimenti: neuroni, endorfine e cose simili. Dov’è la prova del fatto che la trascendenza si sia fatta sostanza? Di che materia è fatta questa cosa che hanno estratto?
-Infatti – replicò Roberto alzandosi in piedi per andare a prendere una bottiglia di Armagnac – Infatti – continuava pensoso e fascinoso mentre versava da bere all’amico – la svolta è avvenuta col trapianto.
- Il trapianto? E su chi?
- Beh, se devi dimostrare che una cosa esiste, devi darla a chi non ce l’ha e registrare i risultati.
- A un animale? – intuì Fabio - e quale?
- Basta. Mi dispiace ma non posso dirti di più.
- E perché? – si spazientì Fabio
-Non sono autorizzato. Io sono un reclutatore, e forse ti ho già detto anche troppo. Quello che se ne fanno di ciò che hai ceduto non ti riguarda, la cosa non ti apparterrà più. Tu ora puoi solo dire sì o no. Una cosa sola è certa: che sarai guarito da tutti i mali. Anche se non ti ho ancora detto un piccolo particolare.
- Ancora?
- Un’inezia…anzi…un milione di inezie.
- Un milione di che? – Fabio si infastidiva a far la parte di quello che sa solo far domande, ma era più forte di lui. Troppe erano le cose da sapere.
- Per te. Un milione di euro. Per il prelievo
- Ma voi siete una manica di matti! Senti, per l’ultima volta io spero che tu non mi abbia preso per il culo…
Ma a quel punto anche Roberto si alterò:
- Sentimi te: appena avrai avuto il versamento, e soltanto allora, verrai con noi. Ma a quel punto niente ripensamenti.
- Ma che scherzi? Trovo dei matti che vanno a caccia di mosche e posso vendergliene una a un milione di euro, magari guarisco pure dai miei acciacchi e non approfitto? Senti, secondo me se sta cosa fa così bene al fisico o è per un bell’effetto placebo o al limite per una cesura del sistema nervoso, dei centri del dolore o cose simili. In ogni caso a me sta benissimo l’offerta, decisamente allettante per un materialista disincantato e depresso come me. Quando volete allora, io ci sto. Però dimmi: perché tanti soldi offerti? Non si trova gente…diciamo… forzatamente?
- Forse – sorrise Roberto - ma i soldi non sono un problema, ci sono. E devono assicurare in cambio la piena volontà, sancita dalla firma, insieme al segreto. Se parli perdi tutto. E non credere di essere uno di tanti che accetterebbero. In te si riassumono tutte le caratteristiche del candidato ideale.
- Ok ok. Le anime non sono tutte uguali e la mia è la migliore, va bene va bene, ci siamo intesi – cantilenò Fabio .
- No, piuttosto puoi dire che pochi, tra voi eletti, alla fine hanno avuto la forza di firmare.
- Ma se la storia è piena di patti col diavolo – disse Fabio rievocando le sue letture, ma tacque immediatamente incrociando gli occhi di Roberto, che fissi sull’infinito trapassavano i suoi.
- No, per favore. Qui il diavolo non c’entra, amico mio. Forse potremmo dire che questo patto è anche peggiore: il diavolo, quand’anche dovesse comprarti l’anima, almeno ti ci lascia vivere assieme, mentre qua il prelievo è anticipato. Da vivi. E non si torna indietro. Ma voglio concedertelo: può anche darsi che la scienza sia diventato strumento inconsapevole di Satana. In ogni caso la scienza è sempre stata un treno lanciato in una corsa senza freni. Inarrestabile. E se Dio esiste, ormai sente sul collo il fiato latrante e ringhioso dei cani. Per questo alla fine sarà costretto a voltarsi indietro ad azzannare il capobranco, rivelando finalmente la sua esistenza nel morso dell’animale braccato. La nostra sfida sta nell’evocare quelle fauci invisibili e prendere quel morso, che forse l’intera umanità si sentirà affondare nelle carni. Ma dopo – proseguì alzando la voce - niente sarà più come prima, neanche per lui. Perché si è voltato indietro, finalmente, a guardare l’umanità da vicino, talmente vicino da incrociare gli sguardi e le carni. E’ lì che lo aspettiamo.

Il crescendo parossistico, fin quasi alla furia di Roberto impressionò Fabio, che dubitò di nuovo della serietà della proposta appena ricevuta.
- Va bene, va bene- troncò la discussione - dammi un paio di giorni. Poi come procederà la cosa?
- Appena ci avrai dato il consenso scritto, con l’indicazione del conto sul quale effettuare il bonifico, verrà trasferita la cifra. Poi ti chiameremo. Andremo di notte. Sarai bendato perché non dovrai vedere nessuna delle persone che incontrerai e neppure la località precisa dove avverrà la cosa. Un paio d’ore per alcune analisi essenziali, poi sarai anestetizzato ma sarà una cosa breve. Tutto avverrà entro la notte. Ti sveglierai e sarai un uomo nuovo, in gran forma, pervaso da una sensazione meravigliosa di forza e di invulnerabilità, pronto ad affrontare una vita senza ostacoli. Perfetto, direi. Quasi immortale. Certo, delle tue prodigiose condizioni fisiche posso garantire. E anche quelle psichiche, intellettivamente intese, non avranno problemi. Invece con la dimensione spirituale te la dovrai vedere tu e il tuo libero arbitrio. Cosa ne dici?
- Dico che è ora di aprire lo champagne!
Il viso di Roberto si aprì a un grande sorriso che gli rimase stampato fino a che non ebbe il sughero del tappo sulla punta dell’unghia, pronto a saltare non prima della risposta alla sua domanda:
- Allora a che brindiamo?
- Alle tre esse! – fece d’istinto Fabio.
- Molto bene…Soldi, Salute e Sesso…e chissà quante altre esse potremo far felici!
- Esatto! – Fabio esclamò d’istinto, si adombrò un attimo a causa dell’indecifrabile acrostico di Roberto ma poi pensò “ma chissenefrega” e proseguì:
- Voi datemi le prime due che poi alla terza ci penso io!
- Alle tre esse! – tintinnarono i calici.
- E ai progressi della Scienza! – aggiunse Fabio ritenendosi illuminato.
- Alla Scienza – confermò a mezza voce Roberto, che poco dopo lo accompagnò alla porta abbracciandolo con un’affettuosità un po’ imbarazzante ma giustificata dall’eccezionalità del patto appena stretto.
Fabio scese le scale con attenzione. Era una zona del quartiere poco illuminata, ma fortunatamente familiare. Lo separavano da casa soltanto trecento metri di asfalto e radi lampioni di periferia.
Tristezza. Quella c’era sempre, anche quella sera. Era come una musica di sottofondo che gli risuonava dentro, ogni volta che passeggiava nel quartiere di sera. “Luoghi senza storia, senz’anima” gli venne da pensare. Non potè fare a meno di riflettere su quella parola che gli era così familiare, ultimamente. “Chissà se poi anch’io diventerò così. Come una di queste case moderne, dall’intonaco perfetto, le finestre coibentate, il cronotermostato, il garage interno, pavimenti a squadro con le pareti, niente muffa niente condensa niente spifferi, proprio come le vuoi tu, a misura di condomino, interno personalizzato purché fuori tutte uguali, una all’altra. Rompi un infisso lo cambi con un altro uguale, non ci vuol nulla, le misure sono standard, universali. Neanche perder tempo a riparare, troppa manodopera, spreco di umanità. Sostituire. La casa è bionica, ricambiabile all’infinito senza mai perderne l’intima sostanza. Un’illusione di personalità individuale, di libero arbitrio – e ripensò alle parole di Roberto: “col tuo libero arbitrio poi te la vedi tu”. - Ecco, la libertà assoluta purché entro i confini della gabbia. Ma una gabbia sana, forte, immortale e immutabile. A misura tua, mica come le case del centro storico che eri tu a doverti adattare a loro e alle loro scomodità. Quelle sono case cocciute, prepotenti, sono loro a comandare, a condizionarti. Se dici “questa è casa mia” lei sghignazza, perché è lei ad avere te, non il contrario. Puoi chiamarla anche “casa mia”, ma è già stata di tanti altri, prima di te, e altri ne avrà dopo, vecchia puttana. Si porta dentro tutti i segni del tempo, cicatrici sulle quali non c’è niente da fare. Stagni una tubatura e rovini l’intonaco, ridipingi il muro e si apre una crepa, chiudi la crepa e salta una piastrella, riattacchi la piastrella ma si rompe il solaio, ripari il solaio e rompi una tubatura, ridipingi e riapri la crepa. Alla fine ti arrendi, lei non sarà mai tua, non sarà mai te. Perché quella è la sua natura unica e selvaggia, il suo modo di avere un’anima, che non puoi sopprimere. E’ l’irripetibilità dell’imperfezione che rende unici. La perfezione è una copia seriale, l’imperfezione è un originale irripetibile.
I perfetti sono tutti uguali. Gli imperfetti, ognuno a modo suo. Ansia. Immotivata, certo, ma c’era. E la ragione non bastava a scacciarla. Arrivato a casa si mise subito a letto provando a dormire.

Dormi. Facile a dire. Un ronzio di sottofondo gli impediva il rilassamento che deve precedere il sonno. “Devi essere felice. Non perderai nulla e sarai ricco, sano e felice. Felicità. E’ questa parola che mi ripeto continuamente senza placarmi. Ma perché? Davvero a cosa rinuncio? A nulla, a una cazzata che si sono inventati questi scienziati pazzi per speculare sull’oppio dei popoli. O a una topica gigantesca che si sono presi. E io che posso approfittare di questa meravigliosa botta di culo dovrei sprizzare di gioia. Invece. Invece basta. Basta non ce la faccio più. Adesso vado a fare una passeggiata davanti alla bellezza, come facevo da ragazzo quando avevo le tempeste ormonali e mi alzavo dal letto e andavo in cerca di donne per non arrendermi rassegnato alle seghe della sconfitta.”
Deciso. Si alzò e si rivestì. Era nervoso, sempre più nervoso. Immotivatamente, ma proprio l’insensatezza di quell’ansia non gli dava pace. “La ragione. La ragione ha sempre ragione” si ripeteva aggiungendo “la risposta c’è sempre, anche quando non la trovi”. Salì in auto e dopo dieci minuti lungo i pensieri delle strade deserte arrivò a parcheggiare quasi sotto ai torricini, dove il confronto con la bellezza l’aveva sempre consolato da ogni bruttura del mondo e dalle sorprese dell’infido destino. Scese con calma, consapevole di essere nel luogo e nel momento nel quale aveva sempre ricevuto le risposte. Le tre di notte, perfetto. Non c’era in giro anima viva. Silenzio. Solo un leggero ronzio dai riflettori che illuminavano i due prodigi della levità che come sfingi loquaci avevano sempre risposto alle domande che poneva loro da quando ragazzino ci andava a pomiciare approfittando della loro ruffiana, acerba complice floridità da seni o membri adolescenziali.
“Guardatemi, guardatemi” sussurrò alzando gli occhi verso le cime appuntite di quelle torri, che aveva sempre sentito vive e vicine.
“Voi siete me, lo so. L’ho sempre saputo. Siete sempre state le mie sibille, la risposta immancabile, il verbo laico. Ascendenza e trascendenza. Vedo le vostre cime affondare nel buio e pescarne la luce. E allora adesso ho bisogno di una risposta, perché la vostra ferma, secolare bellezza dà il senso alle cose. Siete come la vita. Il senso non è realtà ma possibilità. Il mistero è il senso. Ho paura. Ho paura che senza questa angoscia carnale, organica, voi sareste solo un ammasso di calce e mattoni appoggiati uno sull’altro, e il cielo sopra di voi nient’altro che assenza. Se siamo nella città dell’anima cosa mi resterà? Non ho paura dell’altra vita ma di questa, da vivere col cuore secco, senza più spleen, niente soffrire, niente amare, niente più perdersi nella struggente bellezza vostra e del mondo. Ho paura. E’ vero, ho più paura di questo che della morte.
Ma se una metà della vita l’ho affrontata nella bellezza, il progressivo disfacimento del mio corpo mi negherà comunque di poter continuare a sentire questa sintonia. Comunque vi perderei, in un modo o nell’altro. Per questo son venuto a dirvi addio. Domani vi vedrò con occhi diversi, temo.
Tirò fuori dalla tasca la digitale e scattò un paio di foto nell’illusione, che sapeva vana, di salvare lì dentro la sua anima, qualora ne avesse avuta una, e magari di potersela andare a riprendere, un domani che avesse voluto.

Il giorno dopo, all’apertura dell’ambulatorio, Fabio c’era. Era arrivato venti minuti prima ma non era riscito a presndere il numero uno. Prima di lui c’era una vecchia, bassa e storta, coi capelli a crocchia come sua nonna morta, solo che questa era viva. Univa all’odioso fatto di averlo anticipato l’evidente sgradevolezza esteriore delle persone grette. Una gonna blu consunta e sbiadita sulla quale gravava una maglia di lana di quelle fatte in casa all’uncinetto, di un rosa grigiastro deprimente. Ai piedi aveva quelle mezze cose, né scarpe né ciabatte, che vanno bene sia in casa che fuori così da possedere solo quelle, oltre a un altro paio mai messe, le suole lucide da esibire al funerale. Lei lo ricambiava guardandolo di tanto in tanto e mettendolo a disagio. Se lui la guardava, lei guardava altrove, ma se abbssava lo sguardo sentiva quegli occhi posarsi su di lui come uova rompersi in testa.
Si sentì la voce di Roberto dal fondo del corridoio:
- Il primo!
La vecchietta si alzò, gli lanciò un'ultima e fastidiosa occhiata di sfida come dicendogli “adesso vedrai quanto ci sto!” che lo costrinse a sorridere senza essere ricambiato. Poi si rintanò nello studio del medico.
Ora, sappiamo tutti bene cosa significhi esssere in fila dal medico e vedersi precedere da un’ottuagenaria ipocondriaca. Succede la stessa cosa se ce l’hai davanti a messa e vorresti far la comunione dopo una purificante confessione. Ma quella è sempre dentro al confessionale, arriva il momento dell’eucarestia e tu aspetti ancora, inutilmente. Già, esiste anche l’ipocondria da dannazione, il Signore può chiamare anche ora e tu ti senti nel peccato mortale anche se hai solo saltato una messa e allora guai, le fiamme eterne son là che ti attendono senza appello, per l’eternità.
Qualcuno dovrebbe spiegarlo, al medico come al confessore, che queste signore, un tempo donne, a questa età hanno un problema di presenzialità. Si convincono ogni giorno di più che la vita sta sfuggendo loro di mano e maturare comportamenti ostruttivi alla vita degli altri dà loro un concreto, tangibile, oggettivo scopo nella vita. Il vero motivo per cui abusano oltre ogni limite del tempo altrui sta nell’attesa che impongono a quelli che aspettano dopo di loro. Se non ci fosse nessuno non indugerebbero certo così a lungo.
E’ per via del tempo. Il bene più prezioso al mondo. I vecchi sono ladri di tempo. Tu ne hai molto più di loro, per questo te lo rubano. Senza la loro presenza la nostra vita sarebbe stata diversa. Migliore o peggiore a loro importa poco. Quel che conta è rubarti il tempo: non lo riavrai mai più
Finalmente uscì, e si portò via un bel malloppo, pieno della vita di Fabio.
Ma questi pensieri svanirono nell’ansia di entrare nello studio.

(fine puntate 1/7) - Ottava puntata

Roberto lo guardò da dietro la scrivania con gli occhi sgranati, ma sorridendo. Ormai la cosa stava andando avanti, anche se Fabio si sentiva più vittima che contraente.
- Come stai? - disse il medico
- Beh, ancora sto sempre uguale. Diciamo che non vedo l’ora di star meglio.
- Ecco qua la ricetta – fece Roberto tirando fuori dal cassetto un paio di fogli di carta di Amalfi – i moduli sono pronti.
- Moduli – replicò Fabio a bassa voce, quasi parlando a se stesso – chissà che mi credevo. Magari pergamene da firmare col sangue.
- Ma dai – Roberto alzò un braccio mandandolo a quel paese ma aggiungendo – anche se… -
- Se cosa? Si preoccupò Fabio,attento a ogni imprevisto.
- Beh, in effetti questa cosa della firma col sangue è vera. Niente di esoterico. Solo la necessità di avere la prova del Dna, qualora occorresse.
- Oddio, anche questa. – Fabio ebbe un moto di fastidio, poi un giramento di testa. Si sedette, mentre Roberto alzava il telefono.
- Marina, può venire a fare un prelievo? - poi si rivolse a Fabio:
- Stai tranquillo, tutto nella norma.
L’infermiera arrivò con una siringa puntata verso il cielo. Fabio si lasciò docilmente prelevare 10 cc di sangue, anche perché anestetizzato dagli occhi e dai seni appuntiti di quella mora silenziosa e sfuggente. Roberto si fece lasciare la provetta e quando fu di nuovo solo con Fabio ne versò il contenuto in un calamaio estratto dal cassetto assieme a un’elegante fodera di velluto contenente una penna d’oca così perfetta che sembrava colta per l’occasione.
- Ma è vera? Fabio si stupì di tanta levigata perfezione.
- E pensi che per una cosa simile si usino surrogati cinesi? – aggiunse il dottore – Forza, firma questi due contratti.
- Calma, vorrei leggere bene i contenuti. Non credo che sia una cosa indifferente, sapere cosa mi aspetta, anche se conosco la scelta di Hobson. E lesse ad alta voce, anzi non porprio alta, visto che l’emozione e il prelievo lo avevano decisamente debilitato:
- Io sottoscrito Fabio De Lucia, nato a Lione il 1 giugno 1962, nel pieno possesso delle mie facoltà fisiche e mentali, dichiaro di cedere unilateralmente e a titolo definitivo la totale disponibilità morale e materiale della mia anima a coloro che ne verranno in possesso dopo di me. Dichiaro altresì che costoro potranno cederla a loro volta a terzi senza alcun vincolo o condizione nei miei confronti e disporne nelle modalità che vorranno, anche in forme contrarie a qualsiasi modalità di espressione della mia volontà successive alla data odierna e senza che io possa pretendere alcunché. Sottoscrivo altresì che essendomi la definizione di “anima” completamente estranea sarò per parte mia libero da qualsiasi ulteriore obbligo contrattuale al di fuori dell’oggetto del presente contratto unilaterale che si perfezionerà al momento dell’uscita dell’anima dalla mia disponibilità. Firmato Fabio De Lucia.
Alzò gli occhi e guardò fisso Roberto dicendogli:
- Letto così fa una certa impressione. E col Dna c’entra poco.
- Nella firma, c’entra. Del testo che ti importa? Si parla del nulla, tanto, no? Anche se l’ho visto, che avevi un po’ di tremore. Ma è normale. Sicuro allora?
- Certo – disse Fabio ritrovando sicurezza – dammi qua.
Prese il calamaio con la sinistra e la penna con la destra, affondandola con calma nel calamaio. Il suo sangue era del colore che gli piaceva di più, un bel bordeaux carico tendente al violaceo.
E con quello scrisse il suo nome.
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